I PRETENDENTI
Due anni dopo la partenza di Jacob Todd, si compì la definitiva metamorfosi di Eliza Sommers. L'ossuto animaletto che era stata durante l'infanzia si trasformò in una ragazza dai morbidi profili e dal viso delicato. Sotto la tutela di Miss Rose, trascorse gli anni ingrati della pubertà tenendo un libro in equilibrio sulla testa e studiando pianoforte, mentre al contempo coltivava nell'orto di Mama Fresia le erbe del luogo e con esse imparava a preparare le antiche ricette per curare malattie note e ancora da conoscere; tra queste, la senape come rimedio all'indifferenza per le occupazioni quotidiane, le foglie d'ortensia per portare a maturazione i tumori e restituire il riso, la violetta per sopportare la solitudine e la verbena con cui condiva la zuppa di Miss Rose, perché questa nobile pianta cura gli eccessi di malumore. Miss Rose non riuscì a fugare l'interesse della sua protetta per la cucina e alla fine si rassegnò a vederle perdere ore preziose tra le pentole annerite di Mama Fresia. Riteneva che il possesso di nozioni culinarie fosse semplicemente un di più nell'educazione di una ragazza; metterla in grado di impartire ordini alla servitù, proprio come faceva lei, era un conto, ma da qui a insudiciarsi con tegami e padelle c'era una bella differenza. Una dama non poteva profumare d'aglio e cipolla; ma alla teoria Eliza preferiva la pratica e si rivolgeva alle sue amicizie a caccia di ricette che prima copiava su un quaderno e poi migliorava preparandole. Poteva trascorrere intere giornate a macinare spezie e noci per le torte o granturco per i pasticci alla creola, a pulire tortore da marinare e frutta con cui fare conserve. A quattordici anni aveva già superato Miss Rose nella sua timida pasticceria e aveva appreso il repertorio di Mama Fresia; a quindici era responsabile dei banchetti nelle serate di mercoledì e quando i piatti cileni smisero di costituire una sfida, si interessò alla raffinata cucina francese, su cui la illuminò Madame Colbert, e alle spezie esotiche provenienti dall'India che zio John era solito portare e che lei, non conoscendo i nomi, identificava dall'odore. Quando il cocchiere lasciava un messaggio agli amici dei Sommers, la busta veniva accompagnata da una leccornia appena uscita dalle mani di Eliza, che aveva fatto assurgere alla categoria di arte l'abitudine locale di inviarsi intingoli e dessert. La sua dedizione era tale che Jeremy Sommers arrivò a immaginarsela proprietaria di una sala da tè, progetto che, come peraltro tutti quelli elaborati dal fratello per la ragazza, era stato scartato da Miss Rose senza essere minimamente vagliato. Una donna che si guadagna da vivere, per quanto rispettabile possa essere la sua attività, è destinata a scendere nella scala sociale, pensava. Lei invece puntava a un buon marito per la sua protetta, e si era concessa un lasso di tempo di due anni per trovarlo in Cile, altrimenti avrebbe condotto Eliza in Inghilterra; certo non poteva correre il rischio che arrivasse a vent'anni senza fidanzato e che rimanesse zitella. Il candidato doveva essere capace di sorvolare sulle sue oscure origini ed entusiasmarsi per le sue virtù. Un cileno non andava neanche preso in considerazione, gli aristocratici si sposavano tra cugini e la classe media non la interessava, non voleva vedere Eliza alle prese con problemi economici. Talvolta entrava in contatto con imprenditori del ramo commerciale o minerario in affari con il fratello Jeremy, ma questi ultimi erano alla ricerca dei cognomi e dei blasoni dell'oligarchia. Era poco probabile che si interessassero a Eliza, visto che il suo fisico non poteva accendere molte passioni: era piccola e magra, e non possedeva il pallore latteo o il busto e i fianchi opulenti prescritti dalla moda. Solamente a un secondo sguardo rivelava la sua bellezza discreta, la grazia dei modi e l'espressione intensa degli occhi; sembrava una bambola di porcellana portata dalla Cina dal capitano Sommers. Miss Rose cercava un pretendente in grado di apprezzare la lucida assennatezza della sua protetta, come anche l'indole risoluta e quella capacità di rigirare le situazioni a suo favore che Mama Fresia chiamava fortuna e lei preferiva denominare intelligenza; un uomo economicamente solido e dal buon carattere che le offrisse sicurezza e rispetto, ma che Eliza potesse agevolmente manovrare. A tempo debito, pensava di insegnarle la sottile disciplina delle attenzioni quotidiane che alimentano nell'uomo l'assuefazione alla vita domestica; il sistema delle carezze temerarie come premio e del silenzio sornione per punizione; i segreti con cui privarlo della volontà, che lei non aveva avuto modo di mettere in pratica, e anche l'arte millenaria dell'amore fisico. Di questo non avrebbe mai avuto il coraggio di parlare apertamente con Eliza, ma poteva contare su diversi libri seppelliti a doppia mandata nel suo armadio, che le avrebbe prestato quando fosse arrivato il momento. Per iscritto si può dire qualunque cosa, questa era la sua teoria, e in fatto di teoria non aveva rivali. Miss Rose poteva salire in cattedra a proposito di tutte le forme possibili e impossibili di fare l'amore.
"Devi adottare Eliza legalmente affinché porti il nostro cognome," pretese da suo fratello Jeremy.
"Lo usa da anni, cosa vuoi di più, Rose?"
"Che possa sposarsi a testa alta."
"Sposarsi con chi?"
Miss Rose non glielo rivelò in quell'occasione, ma aveva già in mente qualcuno. Si trattava di Michael Steward, ventottenne ufficiale della flotta navale inglese di stanza nel porto di Valparaiso. Grazie a suo fratello John, aveva appurato che il militare apparteneva a un'antica famiglia. Che non avrebbe certamente visto di buon occhio il figlio maggiore e unico erede sposato con una sconosciuta priva di fortuna proveniente da un paese il cui nome non si era mai sentito nominare. Era indispensabile che Eliza potesse contare su una dote allettante e che Jeremy la adottasse, così, perlomeno, il problema dei suoi natali non sarebbe stato un ostacolo.
Michael Steward aveva un portamento atletico, uno sguardo innocente di iridi azzurre, baffi e basette biondi, denti sani e naso aristocratico. Il mento sfuggente lo penalizzava in prestanza e Miss Rose sperava di entrare in confidenza per suggerirgli di celarlo facendosi crescere la barba. Secondo il capitano Sommers, il giovane era un esempio di moralità e il suo impeccabile foglio di servizio gli garantiva una brillante carriera in marina. Agli occhi di Miss Rose, il fatto che passasse tanto tempo per mare rappresentava un enorme vantaggio per chi l'avesse sposato. Più ci pensava e più si convinceva di aver scoperto l'uomo ideale, ma Eliza, visto il suo carattere, non lo avrebbe mai accettato solo per convenienza, doveva innamorarsene. Speranze ce n'erano: l'uomo faceva un'ottima figura in uniforme e nessuno l'aveva ancora visto senza.
"Steward non è altro che uno stupidotto dalle buone maniere: Eliza morirebbe dalla noia se si sposasse con lui," sentenziò il capitano Sommers quando gli rivelò i suoi piani.
"Tutti i mariti sono noiosi, John. Nessuna donna con un briciolo di cervello sposandosi spera di divertirsi; piuttosto di farsi mantenere."
Eliza sembrava ancora una bambina, ma la sua educazione era stata portata a termine e presto avrebbe raggiunto l'età da marito. C'era ancora un po' di tempo davanti, concluse Miss Rose, ma bisognava muoversi con determinazione per impedire che nel frattempo un'altra più sveglia le portasse via il candidato. Una volta presa la decisione, si concentrò sull'obiettivo di attirare l'ufficiale ricorrendo a ogni sorta di pretesto che riuscì a immaginare. Organizzò le serate musicali in modo tale che coincidessero con le occasioni in cui Michael Steward sbarcava, trascurando gli altri ospiti che per anni avevano riservato il mercoledì a questa sacra attività. Infastiditi, alcuni di loro smisero di partecipare. Ed era proprio questo lo scopo che lei voleva raggiungere per trasformare le tranquille serate musicali in allegri ricevimenti e rinnovare la lista degli invitati inserendo giovani scapoli e signorine in età da matrimonio della colonia straniera al posto dei noiosi Ebeling e Applegreen, che stavano assumendo l'aspetto di fossili. I recital di poesia e canto lasciarono il posto a giochi di società, balli informali, gare d'intelligenza e sciarade. E organizzava anche ricercati pranzi campestri e passeggiate sulla spiaggia. Partivano in carrozza, preceduti all'alba da pesanti carri con il fondo in cuoio e coperture di paglia che trasportavano la servitù addetta a installare le innumerevoli ceste delle vettovaglie sotto tende e parassiti. Alla loro vista si dispiegavano fertili valli punteggiate di alberi da frutta, vigneti, campi di grano e mais, ripide coste contro cui l'Oceano Pacifico si infrangeva in nubi di schiuma e in lontananza il superbo profilo della cordigliera innevata. In qualche maniera Miss Rose riusciva sempre a far sì che Eliza e Steward viaggiassero sulla stessa carrozza, sedessero vicini e fossero compagni nei giochi a palla e di pantomima, ma a carte e a domino cercava sempre di separarli perché Eliza si rifiutava categoricamente di lasciarsi battere.
"Devi fare in modo che l'uomo si senta superiore, bambina mia," le spiegò pazientemente Miss Rose.
"É molto faticoso," replicò Eliza risoluta.
Jeremy Sommers non riuscì a metter freno all'ondata di spese della sorella. Miss Rose comprava stoffe all'ingrosso e aveva destinato due delle ragazze di servizio a confezionare tutto il giorno nuovi vestiti copiati dalle riviste. Si indebitava oltre ogni sensato limite con i marinai del contrabbando affinché non mancassero profumi, rossetti della Turchia, belladonna e kajal per accentuare il mistero degli occhi e crema di perle vive per schiarire la pelle. Per la prima volta in vita sua le mancava il tempo per scrivere, affannata com'era nel circondare di attenzioni l'ufficiale inglese, attenzioni che prevedevano anche la preparazione di biscotti e conserve da portarsi in alto mare, il tutto fatto in casa e offerto in deliziose bottigliette. "Eliza ha preparato questo per lei, ma è troppo timida per consegnarglielo personalmente," gli diceva, senza spiegare che Eliza cucinava quello che le veniva chiesto senza domandare a chi fosse destinato e rimaneva pertanto sorpresa quando lui la ringraziava.
Michael Steward non rimase indifferente alla campagna di seduzione. Misurato nelle parole, manifestava la sua riconoscenza con lettere brevi e formali su carta intestata della marina e quando era a terra generalmente si presentava con omaggi floreali. Aveva studiato il linguaggio dei fiori, ma questa finezza cadeva nel vuoto, perché né Miss Rose né altri in quei paraggi, così lontani dall'Inghilterra, avevano sentito parlare della differenza tra una rosa e un garofano, e il colore del nastro a loro non suggeriva nulla. Risultarono dunque assolutamente vani gli sforzi di Steward per trovare fiori che dal rosa pallido salissero progressivamente di tono passando per tutte le gradazioni del rosso fino ad arrivare a quello più acceso, quali indizi della sua crescente passione. Con il tempo l'ufficiale riuscì a superare la timidezza e dal silenzio patetico che all'inizio lo caratterizzava passò a una loquacità fastidiosa per chi l'ascoltava. Esponeva con enfasi le sue opinioni morali riguardo a ogni minima inezia ed era solito perdersi in inutili spiegazioni a proposito di correnti marine e carte nautiche. Dove riusciva davvero a far bella figura era negli sport virili, che mettevano in luce la sua baldanza e la sua buona muscolatura. Miss Rose lo provocava affinché facesse dimostrazioni acrobatiche appeso a un albero del giardino e, non senza dover insistere, ottenne da lui che li dilettasse ballando lo zapateado e compiendo le flessioni e i salti mortali di una danza ucraina imparata da un collega marinaio. Miss Rose applaudiva ogni esibizione con entusiasmo eccessivo, mentre Eliza osservava silenziosa e compunta senza fare alcun commento. Passarono così alcune settimane, durante le quali Michael Steward soppesava e misurava le conseguenze del gesto che meditava di fare e si manteneva in contatto epistolare con il padre per discutere i suoi progetti. Gli inevitabili ritardi della posta prolungarono l'incertezza per diversi mesi. Si trattava della decisione più importante della sua vita e per prenderla doveva fare appello a un coraggio più grande di quello necessario a far fronte ai potenziali nemici dell'Impero britannico nel Pacifico. Finalmente, durante una delle serate musicali, dopo aver provato cento volte davanti allo specchio, riuscì a radunare l'audacia che gli si sfilacciava e a rinfrancare la voce che la paura rendeva flautata, e acciuffò Miss Rose nel corridoio.
"Ho bisogno di parlarle in privato," le sussurrò.
Lei lo condusse nella stanza del cucito. Presentiva il contenuto della conversazione e si sorprese della sua stessa emozione, sentì le guance arrossire e il cuore galoppare. Si sistemò un ricciolo che le sfuggiva dallo chignon e si terse delicatamente il sudore della fronte. Michael Steward pensò che non gli era mai sembrata così bella.
"Credo che abbia già intuito cosa le debbo dire, Miss Rose."
"Indovinare è pericoloso. Sono qui ad ascoltarla..."
"Si tratta dei miei sentimenti. Senz'altro lei sa di cosa parlo. Desidero comunicarle che le mie intenzioni sono assolutamente serissime."
"Non mi aspetto niente di meno da una persona come lei. Crede di essere corrisposto?"
"Soltanto lei può rispondere a questa domanda," balbettò il giovane ufficiale.
Rimasero a guardarsi, lei con le sopracciglia sollevate in segno d'attesa e lui con il timore che il soffitto stesse per crollargli sulla testa. Deciso ad agire prima che la magia del momento andasse in fumo, il corteggiatore le posò le mani sulle spalle e si chinò per baciarla. Paralizzata dalla sorpresa, Miss Rose non riuscì a muoversi. Sentì sulla bocca le labbra umide e i morbidi baffi dell'ufficiale senza riuscire a capire che cosa diavolo non avesse funzionato, e quando alla fine fu in grado di avere una reazione lo allontanò bruscamente.
"Ma cosa fa? Non vede quanti anni ho più di lei?" esclamò, asciugandosi la bocca con il dorso della mano.
"Che importanza ha l'età?" farfugliò l'ufficiale sconcertato, perché in effetti aveva calcolato che Miss Rose potesse avere più o meno ventisette anni.
"Come osa? Ha perso il senno?"
"Ma lei... lei mi ha lasciato intendere... no, non posso essermi sbagliato così!" mormorò il poveretto stordito dalla vergogna.
"Sì, certo, ma per Eliza, non per me," esclamò Miss Rose spaventata e uscì di corsa per andare a chiudersi in camera, mentre lo sfortunato pretendente chiedeva mantello e copricapo e se ne andava senza congedarsi da quella casa in cui non avrebbe più messo piede.
Da un angolo del corridoio Eliza aveva sentito tutto attraverso la porta socchiusa della stanza del cucito. Anche lei era stata confusa dalle premure usate all'ufficiale. Miss Rose aveva sempre dimostrato un'indifferenza tale nei riguardi dei suoi pretendenti che si era abituata a considerarla una signora in età. Solo negli ultimi mesi, quando l'aveva vista dedicarsi anima e corpo ai giochi di seduzione, aveva notato il suo magnifico portamento e la sua pelle luminosa. Aveva immaginato che fosse perdutamente innamorata di Michael Steward e non le era mai passato per la testa che i bucolici pranzi campestri sotto parasoli giapponesi e i biscotti al burro con cui mitigare i malesseri della navigazione fossero stratagemmi della sua protettrice per acchiappare l'ufficiale e servirlo a lei su un piatto d'argento. L'idea la ferì come un pugno in pieno petto e le tolse il respiro, perché l'ultima cosa al mondo che desiderava era un matrimonio combinato alle sue spalle. Da poco era preda del vortice del primo amore e aveva giurato, con irremovibile convinzione, che non avrebbe sposato nessun altro.
Eliza Sommers aveva visto Joaquin Andieta per la prima volta un venerdì di maggio del 1848, quando era arrivato a casa tenendo le redini di un carro tirato da diversi muli stracarico di colli della Compagnia Britannica di Importazione ed Esportazione. Contenevano tappeti persiani, lampadari a gocce e una collezione di statue di marmo ordinati da Feliciano Rodriguez de Santa Cruz per abbellire la dimora che si era costruito nel Nord; uno di quei carichi preziosi che in porto correva dei rischi ed era più prudente mettere in deposito nella casa dei Sommers fino a quando non fosse stato spedito ai destinatari finali. Quando il resto del viaggio avveniva via terra, Jeremy assumeva guardie armate per proteggerlo, ma in questo caso doveva farlo pervenire a destinazione su una goletta cilena che sarebbe salpata nel giro di una settimana. Andieta sfoggiava il suo unico vestito, passato di moda, scuro e logoro, non portava né cappello né ombrello. Il pallore funereo contrastava con gli occhi lampeggianti e i capelli neri brillavano grazie all'umidità di una delle prime pioggerelle autunnali. Miss Rose uscì a riceverlo e Mama Fresia, che portava sempre le chiavi di casa appese a un anello in vita, lo guidò fino all'ultimo patio, dove si trovava il magazzino. Il giovane mise i giornalieri in fila e il carico passò di mano in mano percorrendo le asperità del terreno impervio, le scale ritorte, le terrazze sovrapposte e gli inutili spiazzi. Mentre contava, spuntava e prendeva appunti sul suo quaderno, Eliza, sfruttando la sua capacità di rendersi invisibile, riuscì a osservarlo a suo piacimento. Aveva compiuto sedici anni due mesi prima ed era pronta per l'amore. Quando vide le mani dalle dita allungate macchiate d'inchiostro di Joaquin Andieta e sentì la sua voce, profonda ma chiara e fresca come il gorgoglio di un fiume, impartire secchi ordini agli scaricatori, provò una profondissima commozione, e l'incontenibile desiderio di avvicinarsi e di sentirne l'odore l'obbligò ad abbandonare il nascondiglio dietro le palme di un grande vaso. Brontolando perché i muli del carretto avevano sporcato l'ingresso e indaffarata con le chiavi, Mama Fresia non notò niente, ma Miss Rose riuscì a cogliere con la coda dell'occhio il rossore della ragazza. Non gli diede molta importanza, il dipendente del fratello le sembrò un povero diavolo insignificante, un'ombra tra le tante di quel giorno nuvoloso. Eliza sparì in cucina e dopo pochi minuti tornò con i bicchieri e con una brocca di succo d'arancia addolcito con miele. Per la prima volta in vita sua, lei, che aveva passato anni a tenere in equilibrio un libro sulla testa senza pensare a quello che stava facendo, fu cosciente dei propri passi, dell'ondulazione dei fianchi, dell'oscillazione del corpo, dell'angolo delle braccia, della distanza tra le spalle e il mento. Desiderò essere bella come lo era stata Miss Rose quando, splendida giovane, l'aveva riscattata dalla sua culla improvvisata in una scatola di sapone di Marsiglia; desiderò poter cantare con la voce da usignolo con cui la signorina Applegreen intonava le ballate scozzesi; desiderò saper ballare con l'impareggiabile grazia della maestra di danza e desiderò morire in quel momento, sconfitta da un sentimento tagliente e inflessibile come una spada, che le riempiva di sangue caldo la bocca e che, ancor prima di essere formulato, la opprimeva con il peso terribile dell'amore idealizzato. Molti anni dopo, davanti alla testa di un uomo conservata in un fiasco di gin, Eliza avrebbe ricordato quel primo incontro con Joaquin Andieta e avrebbe nuovamente provato la stessa insopportabile angoscia. Si sarebbe chiesta mille volte nel corso del suo cammino se avesse avuto la possibilità di fuggire da quell'opprimente passione destinata a piegarle la vita; se in quei brevi istanti fosse stato forse possibile girarsi e salvarsi, ma ogni volta che avrebbe formulato questa domanda sarebbe giunta alla conclusione che il suo destino era stato tracciato fin dall'inizio dei tempi. E quando il saggio Tao Chi'en le aveva prospettato la poetica possibilità della reincarnazione, si era convinta che in ognuna delle sue vite si sarebbe ripetuto il medesimo dramma: se fosse nata mille volte nel passato e altre mille nel futuro, sarebbe sempre venuta al mondo con la stessa identica missione di amare quell'uomo. Per lei non c'era via di fuga. Tao Chi'en le avrebbe poi insegnato le formule magiche capaci di disfare i nodi del karma e di liberare dalla coazione a ritrovarsi a ogni incarnazione nella stessa lacerante incertezza amorosa.
Quel giorno di maggio Eliza posò il vassoio su una panca e offrì la bibita prima ai lavoratori, per guadagnare tempo mentre rinsaldava le ginocchia e cercava di controllare la rigidità da mula cocciuta che le paralizzava il petto impedendo al respiro di passare, e poi a Joaquin Andieta, che continuava a essere assorto nel suo lavoro e che alzò appena Io sguardo quando lei gli porse il bicchiere. Nel tenderglielo Eliza si avvicinò il più possibile, calcolando la direzione della brezza che le doveva restituire l'aroma di quell'uomo che, ormai era deciso, le apparteneva. A occhi socchiusi aspirò il suo profumo di biancheria umida, di sapone a buon mercato e di sudore fresco. Un fiume di lava incandescente prese a scorrere dentro di lei, le gambe le cedettero e in un attimo di panico credette davvero di essere sul punto di morire. Quei secondi furono talmente intensi che a Joaquin Andieta cadde il quaderno di mano, come se una forza incontenibile glielo avesse portato via, mentre il calore del rogo raggiungeva anche lui, bruciandolo di riflesso. Guardò Eliza senza vederla, il viso della ragazza era uno specchio pallido in cui credette di intravedere la sua stessa immagine. Si fece appena una vaga idea delle dimensioni del suo corpo e dell'aureola scura della capigliatura; ma un'idea più precisa l'avrebbe avuta solamente al loro secondo incontro, qualche giorno più tardi, quando avrebbe potuto finalmente immergersi fino all'annullamento nei suoi occhi neri e nella grazia liquida dei suoi gesti. Si chinarono contemporaneamente per raccogliere il quaderno, le spalle si toccarono e il contenuto del bicchiere finì sul vestito di lei.
"Guarda cosa combini, Eliza!" esclamò Miss Rose in allarme, perché l'impatto di quell'amore repentino aveva colpito anche lei.
"Vai a cambiarti e sciacqua l'abito in acqua fredda e vediamo se la macchia va via," aggiunse in tono secco.
Ma Eliza, prigioniera degli occhi di Joaquin, tremante, con le narici dilatate che lo annusavano in modo evidente, non si mosse fino a quando Miss Rose non la prese per un braccio e la condusse in casa.
"Te l'avevo detto, bambina, che qualsiasi uomo, anche il più miserabile, può fare di te quello che vuole," le ricordò l'india quella notte.
"Non so di cosa stai parlando, Mama Fresia," replicò Eliza.
Quando quella mattina d'autunno Eliza conobbe Joaquin Andieta nel patio di casa sua, pensò di aver incontrato il proprio destino: sarebbe stata sua schiava per sempre. Non aveva ancora vissuto a sufficienza per poter capire cosa era successo, per esprimere a parole il subbuglio che la soffocava o per approntare un piano, ma l'intuito non le nascose l'ineluttabilità. In modo confuso, ma doloroso, si rese conto di essere in trappola ed ebbe una reazione fisica simile alla peste. Per una settimana, finché non lo rivide, si contorse in coliche strazianti contro le quali nulla poterono le erbe miracolose di Mama Fresia né le polveri d'arsenico diluite in liquore di ciliegie del farmacista tedesco. Calò di peso e le ossa divennero leggere come quelle di una tortora, con sgomento di Mama Fresia che passava il tempo a chiudere le finestre onde evitare che il vento marino trascinasse la ragazza portandosela via verso l'orizzonte. L'india produsse diversi intrugli e scongiuri tratti dal suo vasto repertorio e, quando capì che niente sortiva effetto, ricorse all'agiografia cattolica. Dal fondo del suo baule prelevò i miseri risparmi, comprò dodici candele e si recò a trattare con il prete. Dopo averle fatte benedire durante la messa principale della domenica, ne accese una davanti a ogni santo nelle cappelle laterali della chiesa, otto in tutto, e ne collocò tre davanti all'immagine di sant'Antonio, protettore delle giovani zitelle senza speranza, delle spose infelici e di altre cause perse.
Quella rimasta la portò, insieme a una ciocca di capelli e a una camicia di Eliza, alla machi più accreditata dei dintorni. Era una vecchia mapuche, cieca dalla nascita, strega di magia bianca, famosa per le sue predizioni inappellabili e per il suo talento nel curare i mali del corpo e le inquietudini dell'anima. Mama Fresia aveva passato gli anni dell'adolescenza a servire questa donna e a fare apprendistato, ma non aveva potuto proseguire su quella strada, come tanto desiderava, perché non possedeva il dono. Non ci si poteva fare nulla: col dono si nasce oppure no. Una volta, quando tentò di chiarirlo a Eliza, l'unica spiegazione che seppe offrirle fu che il dono consisteva nella facoltà di vedere dietro gli specchi. In mancanza di tale misteriosa inclinazione, Mama Fresia aveva dovuto rinunciare alle sue aspirazioni di guaritrice e mettersi a servizio dagli inglesi.
La machi viveva sola in fondo a una gola tra due colline, in una capanna di fango dal tetto di paglia che sembrava sul punto di crollare. Intorno regnava un disordine di pietraglia, legna, piante rinvasate, cani pelle e ossa e uccellacci neri che raspavano inutilmente al suolo alla ricerca di qualcosa da mangiare. Lungo il sentiero di accesso si levava un boschetto di offerte e amuleti piantati dai clienti soddisfatti a testimonianza dei favori ricevuti. L'odore della donna sapeva dell'insieme di tutte le cotture preparate nell'arco della sua vita; indossava una mantella dello stesso color terra secca del paesaggio, era scalza e sporca, ma adornata da una profusione di collane d'argento di bassa lega. Il suo viso era una maschera scura di rughe, con due soli denti in bocca e gli occhi privi di vita. Ricevette la vecchia discepola senza mostrare di riconoscerla, accettò i regali, il cibo e la bottiglia di liquore d'anice, le fece cenno di sedersi di fronte a lei e rimase in silenzio, in attesa. In mezzo alla capanna stavano bruciando dei tizzoni vacillanti e il fumo fuoriusciva da un buco del tetto. Dalle pareti annerite dalla fuliggine pendevano pignatte di coccio e di ottone, piante e una collezione di animali essiccati. La fragranza densa di erbe secche e di cortecce medicinali si mescolava al fetore delle carcasse animali. Parlarono in mapudungo, la lingua dei mapuche. La maga ascoltò a lungo la storia di Eliza, dal suo arrivo nella scatola di sapone di Marsiglia alla sua recente crisi, poi prese la candela, i capelli e la camicia e congedò la visitatrice ordinandole di tornare quando avesse portato a termine gli incantesimi e i riti divinatori.
"Si sa che a questo non c'è rimedio," annunciò due giorni dopo non appena Mama Fresia ebbe varcato la soglia della capanna.
"Morirà, allora, la mia bambina?"
"A questo non so dare risposta, ma so per certo che dovrà soffrire molto."
"Ma cos'ha?"
"Ostinazione in amore. È un male molto deciso. Sicuramente ha lasciato aperta la finestra in una notte chiara e le è penetrato nel corpo durante il sonno. Non c'è scongiuro che tenga."
Mama Fresia tornò a casa rassegnata: se l'arte di quella machi così saggia non era sufficiente a cambiare il destino di Eliza, nulla potevano le sue scarse conoscenze o le candele ai santi.